La rinascita dello straordinario complesso vegetale immaginato da Giacomo Boni ha seguito un criterio coerente con il metodo attuato e dichiarato dal Boni relativamente al Mausoleo rinvenuto a Tor di Quinto e trasferito per l’appunto a Villa Blanc: ricomposizione della parti originali del manufatto “sopperendo alle parti mancanti con opera laterizia, in modo che si goda la massa originale d’insieme, senza che lo studioso provi alcuna titubanza nel differenziare tra le parti antiche e quelle aggiunte”.
Nella direzione di un approccio processuale all’architettura naturale, caratteristico del grande archeologo, il progetto di restauro del giardino ha cercato di rispondere a una complessità di obiettivi:
- rendere nuovamente leggibile il progetto originario del Boni
- leggere i comportamenti che il complesso vegetazionale ha assunto spontaneamente nel tempo, per selezionarne quelli virtuosi e rettificarne quelli nocivi, avendo come guida l’insegnamento del Boni quando ricorda con accenti decisamente critici che: “Da molti anni fu introdotto l’uso di estirpare non soltanto gli arbusti dannosi e i maligni caprifichi, ma anche le più innocenti erbette e il molle capelvenere che tanto contribuiscono ad animare con una nota di color fresco e trasparente le solenni e fiere tonalità improntate dai secoli sulle maestose opere reticolate di tufo o sulle laterizie degli antichi romani”.
- dare spazio alle legittime esigenze che una comunità accademica non può non rivolgere al giardino che l’accoglie
- lasciare un segno del contributo offerto al complesso di villa Blanc dall’operazione di riqualificazione in corso da parte della Luiss.
L’obiettivo 4, particolarmente delicato e strategico, è stato sviluppato attraverso:
- una disposizione dei reperti archeologici che fosse capace di valorizzarli e renderne particolarmente istruttiva la presenza
- un trattamento della pavimentazione del sistema dei percorsi, carrabili e pedonali, del parco che, pur ricercando un’armonica integrazione con il disegno generale del complesso, comunicasse schiettamente la propria appartenenza alla cultura figurativa del nostro tempo.
Un restauro conservativo-critico, secondo l’approccio della cosiddetta Scuola Romana del Restauro, coerente con i criteri generali adottati nel progetto definitivo.
Dai documenti storici e dalle indagini in situ non risulta che l’impianto originale del parco di Villa Blanc fosse attrezzato con un sistema di illuminazione elettrica.
Tuttavia, sparsi lungo i viali del parco, sono stati rinvenuti sette lampioni, tutti in pessime condizioni di conservazione. Non è noto il periodo di installazione, ma l’essenzialità della forma ed i componenti rimandano alla metà del Novecento. Si trattava di elementi in ferro, costituiti da un palo (diametro circa 7 cm, altezza 4 metri) con braccio a sbalzo e plafoniera formata da un semplice piatto in lamiera con lampadina esterna.
Il progetto di illuminazione ha rispettato il “silenzio” notturno del primo impianto e proposto l’adozione di un sistema di illuminazione discreto, senza forzature ad effetto scenografico, formato da lampioni disposti lungo i percorsi e al bordo delle zone di sosta, il cui disegno essenziale richiama la sobrietà degli elementi rinvenuti.
Si è scelto quindi di adottare un lampione formato da un palo di 10 cm di diametro per 400 cm di altezza, con braccio a mensola di 90 cm e corpo illuminante conico, di dimensioni contenute, con ottica a luce diretta (LED), simmetrica o asimmetrica, in funzione delle specifiche circostanze. Il grigio RAL 2006 ha reso il lampione particolarmente discreto anche nella fase diurna. Occasionalmente, i pali dei lampioni hanno costituito il supporto per piccoli elementi tecnologici quali videocamere, speakers o antenne WiFi.
Il sistema formato dai lampioni è stato integrato da alcuni corpi illuminanti “d’accento”, volti a valorizzare particolari elementi decorativi architettonici (roccaglie, reperti, specchi d’acqua, ecc.) ed emergenze arboree.
Infine, un importante contributo all’illuminazione generale del parco, è stato fornito dalla luce che filtra dagli ambienti interni degli edifici, attraverso le trasparenze delle finestre o di alcune ampie pareti vetrate, come nel caso del villino principale.
Anche il tenue riverbero delle facciate, è stato considerato nel bilancio generale dell’illuminamento. Tutto l’impianto di illuminazione esterna è a potenza modulabile, in modo da consentire un perfetto controllo locale della luminosità. La temperatura colore delle fonti luminose, è stata bilanciata anche con l’ausilio di apposite prove da effettuate sul posto prima della definitiva installazione. (1)
(1) Testo estratto dalla relazione di progetto