Questa pagina riunisce, in una sequenza non ordinata, appunti, citazioni e aforismi raccolti lungo il mio percorso formativo e fonte di continua riflessione.
Una parentesi di studi teatrali, durata tre anni, ha informato, radicalmente ed in modo inaspettato, il mio punto di vista sul lavoro dell’architetto. Devo profonda gratitudine al Maestro Kaoru Kurihara per gli insegnamenti ricevuti nell’arco di circa quindici anni.
Guadare un fiume
Un percorso di studio è come il guado di un fiume: si posa una pietra, si torna indietro, si prende un’altra pietra e si costituisce l’appoggio per un nuovo passo, si torna indietro e si compie nuovamente la stessa azione … si continua così.
Appunti da una conversazione col Maestro Kaoru Kurihara, Roma 1999
La forma e la sostanza
La mimica del vecchio appartiene agli arcani della nostra vita. […] In generale, se, [per rendere] l’andatura del vecchio, prendendo a pretesto la vecchiaia, si piegano la schiena e le ginocchia, se si sta curvi, il fiore scompare e tutto sembra antiquato. In queste condizioni l’interesse è debole.
[…] Inoltre, a proposito del precetto: «Che il vecchio, pur avendo il fiore, sembri vecchio», la tradizione orale prescrive, prima di tutto, di non preoccuparsi in nessun caso del portamento senile. […] significa regolarsi in tutto sul ritmo dell’accompagnamento: battere il piede, stendere o ritirare la mano un poco in ritardo rispetto alla cadenza marcata del tamburo, del canto, o dei tamburelli, in modo tale che l’insieme degli atteggiamenti e del portamento si trovi leggermente in ritardo in rapporto al ritmo.
[…] Vi è infatti nel cuore del vecchio, questo è chiaro, il desiderio di comportarsi in ogni cosa in modo giovanile. Tuttavia, nonostante i suoi sforzi, le sue membra sono pesanti, egli è duro di orecchio, e perciò, anche se l’intenzione c’è, il comportamento non vi corrisponde più. […] Il vecchio ha un bell’adottare un comportamento giovanile, il principio della sua impotenza risiede, nonostante i suoi sforzi, in questo ritardo in rapporto al ritmo. E in questo comportamento giovanile del vecchio risiede il principio dell’insolito. Come se un fiore dovesse sbocciare su un vecchio albero.
[…] Se, accontentandovi del fiore, così come ogni età ve lo reca, non ve ne assicurate il seme, esso sarà simile a un fiore su un ramo rotto. […] guardatevi dal dimenticare i vostri inizi.
[…] La sostanza è paragonabile al fiore, l’effetto secondo al profumo. E’ lo stesso per la luna e il suo chiarore. Quando avete assimilato perfettamente la sostanza l’effetto secondo deve prodursi da sé. […] Ciò che si vede con la mente è la sostanza. Ciò che si vede con gli occhi è l’effetto secondo. Di conseguenza il principiante vede l’effetto secondo e lo imita. Questo vuol dire imitare misconoscendo il principio dell’effetto secondo. L’effetto secondo è, per definizione, inimitabile. […] L’imitazione corretta della sostanza contiene l’effetto secondo.
Zeami Motokiyo, Il segreto del teatro NŌ, Adelphi Edizioni 1966
Amo i piedi dei portatori
Amo i piedi dei portatori. C’è un verso della scrittura sacra che comprendo meglio da quando ho visto i loro passi. Dice: “Come sono belli sopra i monti i piedi del portatore di notizia” (52,7). […] Devono essere belli perché la bellezza sta a contrappeso dello sforzo e lo riscatta. Riuscire a portare bene il carico assegnato, reggere il peso risparmiando energia: ecco lo stile
Erri De Luca, Sulla traccia di Nives, Arnoldo Mondadori Editore 2005
L’estate fa caldo, l’inverno fa freddo
Ho chiesto all’architetto giapponese Yumi Kori come, nel suo progetto per la casa di un artista, fosse riuscita a conciliare il problema dell’isolamento termico con l’adozione di pannelli scorrevoli di chiusura esterna, tipici dell’architettura giapponese.
Yumi ha risposto: «E’ una casa di vacanza e si usa solo occasionalmente. Comunque non e’ un problema: l’estate fa caldo, l’inverno fa freddo!»
Appunti da una conversazione con Yumi Kori, New York 1997
Il problema è di chi guarda
Ho chiesto a Yumi Kori se non si fosse posta il problema dell’introspezione nell’aver progettato e realizzato un bagno con una vasca con vista panoramica ma anche molto visibile dall’esterno.
Yumi ha risposto: «In Giappone chi non vuol vedere non guarda!»
Appunti da una conversazione con Yumi Kori, 1997
Dalla condizione fisica a quella mentale (il percorso inverso)
Ho chiesto a Liza Minnelli da quale elemento preferisse partire per la costruzione di un personaggio.
Ha risposto: «Normalmente, per prima cosa indosso le scarpe che indosserebbe quel personaggio. Immediatamente qualcosa si sposta rispetto alla mia condizione quotidiana».
Appunti da una conversazione con Liza Minnelli, Roma 1984
Impossibile
Impossibile è la definizione di un avvenimento fino al momento prima che succeda.
Erri De Luca, Impossibile, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2019
Occhio
Bisogna prendere atto che l’uomo è fisicamente imperfetto. Se fosse perfetto, non avrebbe bisogno di girarsi per guardare dietro di sé: un occhio uscirebbe dall’orbita e si allungherebbe per fare il lavoro necessario!
Appunti dal seminario di Pierre Biland “L’attore ed il suo clown”, Pergine Valsugana 1987
Radici e rami
Mi piace pensare che un progetto sia come una pianta: più forti sono le radici, più i rami possono essere lunghi e articolati, raggiungendo, a volte, risultati inattesi. Purtroppo, molti cattivi maestri credono di perseguire la bellezza, o più semplicemente una qualità estetica, cercando subito la forma finale, senza costruire un percorso che, passo dopo passo, si basi sui requisiti imposti dalle contingenze: costi, società, ambiente, ecc. Questa presunzione ha grande responsabilità nella distanza che esiste in Italia tra la gente e la professione dell’architetto.
Nota personale
Equivalenza
Equivalenza: avere lo stesso valore, pur essendo differente.
Ho trovato di fondamentale importanza la comprensione del concetto di EQUIVALENZA.
L’equivalenza ha capacità evocativa. Fa immaginare qualcosa che non c’è e per questo coinvolge il fruitore/spettatore in un processo attivo di partecipazione.
L’equivalenza non cerca la forma esteriore, ma la verità interiore delle cose.
Il mimo sfrutta l’equivalenza.
Eugenio Barba, nei suoi studi di antropologia teatrale porta esempi chiari di costruzione dell’equivalenza.
Quando si spinge qualcosa nella realtà normalmente il peso del corpo appoggia sulla gamba tesa indietro e sulle braccia che spingono il peso concreto. Nella figura del mimo che spinge, la spinta non può essere esercitata nello stesso modo poiché manca il peso concreto verso cui dirigerla, e quindi una delle due basi di appoggio. (…) egli (il mimo – ndr) mostra che sta spingendo avendo trovato nel proprio corpo una posizione equivalente. Secondo l’equivalenza, che è il contrario dell’imitazione, la realtà viene resa attraverso un suo sistema equivalente: la forza del mimo che spinge rimane ma spostata in un’altra parte del corpo. In questo caso la forza si sposta dalle braccia alla gamba piegata in avanti che preme contro il pavimento (…) E’ la pressione di questa gamba verso il pavimento, e non quella delle braccia a rappresentare la concretezza dello sforzo.
(…)
Pur rispettando le regole di base dell’arciere quotidiano così come è nella tradizione del tiro con l’arco giapponese, l’attore rompe l’automatismo dell’azione quotidiana e crea l’equivalente trasformando le ‘provocazioni’ visive in suoni di pari efficacia. Come notava esemplarmente Ejzenštejn, nel teatro giapponese «udiamo il movimento» e «vediamo il suono».
Anatomia del teatro
Un dizionario di antropologia teatrale, a cura di Nicola Savarese, la casa Usher, 1983
L’incidente
Un aneddoto racconta che un comico dell’arte chiese ad un teatrante critico nei confronti del suo genere:
«Cosa fareste se durante lo spettacolo cominciassero a cadere dei calcinacci dal soffitto?»
«Faremmo sgomberare la sala e tirare il sipario» – rispose il critico.
«Ecco la nostra differenza – replicò il comico dell’arte – noi cominceremmo a recitare proprio da lì!»
Appunti da un seminario di Dario Fo su La Commedia dell’Arte, Teatro Argentina, Roma 1984
Carta bianca
Mi piace l’idea che un progetto, anche se molto dettagliato, sia come un foglio di carta bianca che i fruitori possano disegnare con il proprio intervento… eventualmente, se richiesto, con l’aiuto di qualche mio suggerimento.
Nota personale
Il disegno e la cravatta
Uno studente americano presenta il suo lavoro ai colleghi e ad una commissione formata da professori e critici esterni (di cui faccio parte). Il progetto, risente fortemente dello “stile” neo-rinascimentale “imposto” dall’università da cui il ragazzo proviene. Lo studente indossa una cravatta molto fantasiosa, con un vistoso disegno di Topolino. Non è facile per me commentare il suo lavoro, ma prendo gentilmente la sua cravatta, l’accosto ai disegni che sono appesi al muro e gli spiego che mi manca l’anello di collegamento tra il progetto e la cravatta.
Aneddoto, Roma 1994
Punto di vista
Confido ad un collega giapponese la mia frustrazione perché la moglie del titolare dello studio nel quale collaboriamo non mi sopporta e mette il mio lavoro in cattiva luce presso il marito.
Il collega, dopo una breve pausa, mi dice:
«Forse meglio, no?!»
Aneddoto, Roma 1992
Senza stile
Non prediligo uno stile, anzi avverto una certa diffidenza per parole come “stile” o “linguaggio architettonico”. Ogni progetto è un lavoro a sé, si nutre di tutte le istanze contenute nel programma di intervento e porta ad un esito spesso imprevedibile.
Nota personale